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Sei donne per l'assassino di Mario Bava

Ambientato in epoca moderna, comincia a mostrare quelle che saranno poi le caratteristiche peculiari (grande tensione, violenza efferata, omicidi creativi) del genere nostrano e guarda caso dietro la cinepresa c’è sempre Mario Bava. Come si sa, questo film, come il precedente e come molti successivi, viene da molti studiosi ritenuto debitore nei confronti dei grandi gialli diretti da Alfred Hitchcock, Psycho (’60) su tutti. È indubbiamente vero, ma è altrettanto importante sottolineare il fatto che nel 1963 un regista americano, Herschell Gordon Lewis, si era fatto notare per un film sadico e sanguinoso (non a caso iniziatore del “gore”, che letteralmente significa “sangue raggrumato”) intitolato Blood Feast. In esso un feroce e folle assassino compie delitti orrendi e le sue vittime preferite sono giovani e avvenenti fanciulle. Al di là dell’indubbia personalità di Mario Bava, e del suo multiforme talento artistico, è probabile che anche un film come Blood Feast (mai distribuito peraltro nelle sale del nostro paese) possa aver spinto i produttori italiani a realizzare una pellicola costellata di omicidi cruenti. In Sei donne per l’assassino l’ambientazione è un atelier (in un primo momento il film infatti doveva intitolarsi L’atelier della morte) e la prima vittima è una modella. Bava ha la felice intuizione di dotare l’assassino di un look particolare (come in certi fumetti neri che andavano per la maggiore in quegli anni, e difatti sarà proprio Bava a dirigere la versione cinematografica del più famoso tra questi fumetti, Diabolik, prodotto da Dino De Laurentiis nel 1967 e interpretato da John Philip Law e Marisa Mell): guanti neri, soprabito nero, volto mascherato. La sceneggiatura, scritta dal futuro regista Marcello Fondato insieme a Giuseppe Barilla e allo stesso Bava, è abbastanza vecchio stile e in linea con gli horror di quel periodo (a uccidere è una coppia di amanti diabolici), ma l’idea del doppio assassino e soprattutto le soluzioni visive adottate dal regista, attento soprattutto alla “coreografia” dei delitti, lo rendono un film  innovativo. Innovativo anche in un senso non strettamente tecnico, poiché è il primo thriller (anche I vampiri è in fin dei conti scandito dagli omicidi/dissanguamento di alcune fanciulle) in cui il leit-motiv della vicenda sono gli omicidi di giovani donne, uccise in maniera anche abbastanza sadica; strada su cui proseguiranno vari epigoni di Bava e scelta narrativa che, soprattutto quando è reiterata e fine a se stessa, può apparire francamente discutibile.

a cura di Roberto Frini
 

Archivio GHoST (film) - Nirvana

Nirvana (Gabriele Salvatores - Italia 1997)
   
Cast: Christopher Lambert, Sergio Rubini, Stefania Rocca, Amanda Sandrelli, Diego Abatantuono.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00043
  
   
    

Archivio GHoST (film) - Zeder

Zeder (Pupi Avati - Italia 1983)
   
Cast: Cesare Barbetti, Gabriele Lavia, Anne Canovas, Marcello Tusco.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00042
  
  
  

Archivio GHoST (film) - Il ritorno dei morti viventi

Il ritorno dei morti viventi (Dan O'Bannon - Usa 1984)
   
Cast: Clu Gulager, James Karen, Don Calfa, Thom Matthews, Beverly Randolph.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00041
  

  
  

Archivio GHoST (film) - Matrix Reloaded

Matrix Reloaded (Andy Wachowski, Lana Wachowski - Usa 2003)
   
Cast: Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Jada Pinkett Smith.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00040
  
  
  

Archivio GHoST (film) - Die Hard - Trappola di cristallo

Die Hard - Trappola di cristallo (John McTiernan - Usa 1988)
   
Cast: Bruce Willis, Bonnie Bedelia, Reginald Vel Johnson, Paul Gleason, De'voreaux White.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00039
  
  
  

Archivio GHoST (soundtrack) - Buio Omega

Buio Omega (Goblin - 1997)

Tracklist:
Buio Omega (Main Titles); Quiet Drops; Strive After Dark; Pillage; Rush; Keen; Ghost Vest; Bikini Island; Buio Omega (Suite 1); Quiet Drops (Film Version); Strive After Dark (Suite); Buio Omega (Alternate Version); Strive After Dark (Alternate Version); Buio Omega (Synth Effect-Alternate Takes Suite); Buio Omega Theme (Reprise).

Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: S00007

   
    

Archivio GHoST (software) - Memtest86+ 5.01

Memtest86+ 5.01 (utilità per testare la memoria) 
  • Licenza: Opensource
  • Sistema operativo: Windows XP/Vista/7/8
  • Requisiti minimi: Pentium - 32 MB di Ram
  • Dimensione file: 118 KB
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Codice: P00006
     
       

Archivio GHoST (software) - OpenOffice 4.1.1

OpenOffice 4.1.1 (suite per l'ufficio) 
  • Licenza: Opensource
  • Sistema operativo: Windows XP/Vista/7/8
  • Requisiti minimi: Pentium IV - 1 GB di Ram
  • Dimensione file: 129 MB
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Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: P00005
     

       

Archivio GHoST (film) - Armageddon

Armageddon - Giudizio finale (Michael Bay - Usa 1998)
   
Cast: Bruce Willis, Billy Bob Thornton, Ben Affleck, Liv Tyler, Will Patton.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00038
  


Il giovane favoloso di Mario Martone

Vita del poeta italiano Giacomo Leopardi, dalla sua giovinezza nella casa di Recanati - sotto l’ossessiva protezione del padre Conte Monaldo, della gelida presenza dell’austera madre Adelaide, ma anche con  il sincero affetto di due dei suoi numerosi fratelli, Carlo e Paolina - fino alle peregrinazioni in giro per l’Italia assieme all'amico Antonio Ranieri, che lo portarono a Firenze, a Roma e in seguito a Napoli.
 
Con Il giovane favoloso, Martone mette in scena uno dei biopic più complessi e delicati che il cinema italiano ricordi. Una responsabilità enorme che però il regista affronta con una maturità e un’audacia che fanno dimenticare le piccole - seppur fastidiose - lacune che si palesano soprattutto nella seconda parte della pellicola, quando le linee guida della sceneggiatura e la coerenza nella costruzione del personaggio sembrano qua e là venire meno.  Le migliori ed emblematiche qualità del film trovano infatti il loro apice soprattutto nella parentesi dedicata alla giovinezza del Leopardi, nella prima metà del film, che vede il trionfo, nella tecnica registica, di una poetica e di un’estetica che non credo sia esagerato definire di stampo espressionista. Martone riesce infatti nell’impresa di non raccontare pedissequamente la vita di Leopardi scandita dalle sue opere, ma piuttosto la genesi e l’evoluzione della sua immanente sofferenza attraverso la rappresentazione visiva di alcuni suoi scritti più famosi – di particolare effetto la scena dedicata a L’infinito –, evitando in maniera magistrale il fortissimo rischio di trasformare il film in una sorta di docu-fiction in costume che soddisfacesse in gran parte le aspettative degli amanti del Leopardi in versi. Il film di Martone diventa un vero e proprio affresco, una garbata eppure incisiva stesura di colore scuro applicata su una tela pulita ma grezza, che incarna appieno l’acuirsi dell’incompatibilità profonda tra il poeta e le cose di questo mondo, in un vortice che trascina inesorabilmente verso l’abisso il protagonista e chi gli sta attorno. La vita di Leopardi diventa il racconto di una costrizione claustrofobica - sia fisica che psicologica – che traspare dagli occhi dell’ottimo Germano e che il regista non manca di descrivere con la più evidente caratteristica che contraddistingue la sua personale interpretazione del taglio delle inquadrature: il vero e proprio leitmotiv estetico - di stampo quasi smaccatamente wellsiano - che accompagna lo spettatore durante tutta la visione, si traduce nelle opprimenti inquadrature che ingabbiano il protagonista anche quando questi si muove entro spazi piuttosto ampi. Una caratteristica che si esplicita soprattutto in due momenti: il primo, all’interno della casa di Recanati, dove prevalgono le inquadrature dal basso che in qualche modo esasperano l’altezza di Germano per poi soffocarla subito dopo a causa dell’inevitabile presenza dei soffitti ogni volta più vicini e incombenti sopra la sua testa. Il secondo, gli esterni di Napoli, quando invece l’handicap fisico del poeta viene sottolineato dalle impietose inquadrature dall’alto che lo schiacciano ancora di più verso il terreno e che sembrano accanirsi una volta di più sulla schiena rovinata e piegata dalle deformità ossee – emblematica in tal senso la sequenza che vede il protagonista dialogare con un mendicante durante l’epidemia di colera a Napoli: i faticosi spostamenti di Germano vengono qui descritti da un’inquadratura dall’alto con un’angolazione talmente acuta che della vastissima Piazza Plebiscito nella quale si sta svolgendo l’azione si può solamente vedere il terreno e quasi nulla del resto.
Una claustrofobica rappresentazione del reale senza vie di fuga, in una magistrale traslazione del pensiero leopardiano in linguaggio cinematografico.
 
Le musiche di Sascha Ring (aka Apparat) cullano la vicenda con una nenia dolce e allo stesso tempo tetra, immergendola in un’atmosfera lugubre e crepuscolare. I brani sono del 2011 (contenuti nell’album The Devil’s Walk): una conferma del fatto che Martone abbia operato un’accurata selezione musicale sondando terreni tutt’altro che ovvi, al posto di appoggiarsi ad una colonna sonora di contorno senza alcuna velleità. Anche in questo caso l’audacia è stata premiata.
 
Voto: molto buono.

a cura di Giorgio Mazzola
  

Aliens Night il nuovo corto di Andrea Ricca

Aliens Night è un cortometraggio di fantascienza, con effetti speciali in grafica 3D, girato a budget zero e senza nessuna troupe, con il solo ausilio di una Videocamera HD e di un Pc.
Regia, soggetto, sceneggiatura, montaggio, modellazione ed animazione 3D, compositing e post-produzione sono stati curati dallo stesso regista Andrea Ricca.

Il cortometraggio racconta la storia di un incontro ravvicinato tra una ragazza ed un gruppo di alieni appena giunti sulla terra.

Il corto ha ricevuto diverse critiche positive tra cui quelle della storica casa di produzione HAMMER FILM, del FRIGHT NIGHT FILM FEST oltre che da SLICE OF SCI-FI e CGBros.

Aliens Night può essere visionato direttamente dal sito dell'autore: www.andrearicca.it

Parole & Poesia VII Edizione

L’Associazione Culturale “La Nuova Poesia”, con il Patrocinio del Comune di Formigine (MO), in collaborazione col Museo Agorà dell’Arte di Sersale (CZ), la Casa Editrice Il Fiorino (MO), il Circolo degli Artisti (MO), il Circolo La Fonte d’Ippocrene  (MO), l’ E-book Editore, il Reale Ordine di Cipro e il Club Unesco, indice la VII Edizione del Concorso Letterario “Parole & Poesia” allo scopo di promuovere la cultura, favorire la libertà di espressione dei sentimenti e delle emozioni e dare visibilità all’arte poetica.


REGOLAMENTO
  
  1. 1. Il concorso, aperto a tutti gli autori in lingua italiana dialettali, si articola nelle seguenti sezioni:


A)    POESIA a tema libero  - massimo 2 poesie in 1 copia.

B)  POESIA RELIGIOSA -  massimo 2 poesie in 1 copia.

C)  POESIA IN VERNACOLO (con traduzione in italiano) –  massimo 2 poesie in 1 copia.

D)  RACCONTO - massimo 5 cartelle  (ogni cartella corrisponde a 30 righe), in 1 copia.

E)  LIBRO DI POESIE (italiano o vernacolo), pubblicato da casa editrice o in proprio,  in 1 copia.

F)  POESIA A TEMA:  L’Aceto Balsamico di Modena  -  massimo 2 poesie in 1 copia.

le opere possono essere edite o inedite, anche vincitrici in altri concorsi ).  
  1. Gli elaborati vanno inviati a mezzo posta (no raccomandata) entro il 30 GENNAIO  2015 pressoAntonio Maglio (Concorso VII ediz.) - via Toscana, 14 - 41043 FORMIGINE (MO)
  2. Nella busta, insieme alle opere presentate, inserire un foglio coi propri dati (nome, età, indirizzo, telefono, e-mail, sezione e titolo delle opere).
  3. Ogni autore può partecipare a più sezioni. Il contributo per spese di lettura, postali e di segreteria, è  di € 5.00 per sezione, da inserire nella busta (oppure € 7.00 per sezione da versare sul c.c.p. 120 40 416 intestato a: Edizioni il Fiorino – Modena, causale:  Concorso Letterario).
  4. La Segreteria del Premio comunicherà l’esito delle votazioni e la data della premiazione (nella Sala della Loggia del Castello di Formigine, dopo le pubblicazioni), solo ai vincitori e ai segnalati. L’elenco verrà pubblicato su Internet, su varie riviste letterarie e su http://lanuovapoesia.blogspot.com/
  5. Le opere saranno valutate da una giuria composta da poeti, scrittori, docenti, giornalisti e teologi.
  6. La partecipazione al premio implica l’accettazione completa del presente regolamento.
  7. I dati personali dei concorrenti saranno tutelati ai sensi della Legge 675/96 sulla privacy.

PREMI. Per i primi 3 classificati: Diploma d’Onore e pubblicazione gratuita di un libro (poesie e/o racconti, 5-10 copie omaggio, 35-40 pagine), un dipinto su tela (cm 18x24) di Bruno Caristo, una confezione di Aceto Balsamico Invecchiato Del Duca. Per 6 vincitori la pubblicazione gratuita di un e-book (e-book editore).

Per informazioni  e-mail:antonio.maglio@inwind.it ,  tel: 348 92 16 566 (ore 18-20). 
  

La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel

Al tempo della guerra di secessione il caporale nordista Jonathan McBurney (Clint Eastwood), abbandonato dai suoi in territorio nemico e gravemente ferito, viene accolto nel collegio femminile gestito dalla mano ferrea di Miss Farnsworth (Geraldine Page). L’inaspettato arrivo scatena immediatamente turbamenti erotici e rivalità all'interno del microcosmo: il bel soldato dapprima cercherà di approfittarne, ma poi il gioco gli sfuggirà di mano con conseguenze tragiche soprattutto per sé stesso.
Flop al botteghino, ancora oggi sciaguratamente meno noto di quanto dovrebbe, La notte brava del soldato Jonathan è il Siegel/Eastwood che non ti aspetti: un cupo dramma con venature gotiche che esula quasi del tutto dalla produzione tipica del regista ma che rientra a buon diritto fra i suoi capolavori, interpretato da un Clint che sembra quasi fare la parodia al suo solito personaggio duro e tutto d’un pezzo. Anche lo stile è insolito: fiammeggiante, composito, pieno di ralenti onirici e sovrimpressioni, quindi lontano dalla secca e violenta concitazione che in genere si attribuisce a Siegel.
A non essere cambiato è la visione del mondo del regista, il suo universo (im)poetico dominato dal cinismo e dalla crudeltà, dove non c’è spazio per sentimenti autentici ma si assiste alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo o, in questo caso, della donna sull'uomo. Da più parti tacciato di misoginia, La notte brava mette sotto accusa non il genere femminile (la natura umana è marcia, vale per le donne come per gli uomini) ma piuttosto l’ipocrisia, la repressione degli istinti imposta dai costumi e dalla morale.
Nel clima soffocante e claustrofobico del collegio, dove le pulsioni sessuali vengono represse dietro rigidi codici di comportamento, è inevitabile che l’arrivo di una presenza estranea, maschile, finisca per catalizzare le attenzioni sempre più patologiche delle protagoniste e scatenare la tragedia.
La guerra di secessione sullo sfondo, della quale vengono evidenziati gli aspetti più cruenti e messe in ridicolo le nobili motivazioni, non fa che riprodurre e amplificare il clima morboso del microcosmo. Fedele al proprio pessimismo, il regista rinuncia al lieto fine e conclude il film con il trionfo generalizzato della menzogna e del perbenismo, con il ritorno di quelle maschere che la presenza del soldato Jonathan aveva, solo per un po’, fatto calare.
Da supposto “mestierante” di B-movies, Siegel si dimostra uno straordinario esploratore di psicologie, capace di scavare nell'intimo dei suoi personaggi e di portarne a galla i lati più nascosti (si veda lo sconcertante sogno erotico di Miss Farnsworth) aiutato dall'interpretazione di attrici come Geraldine Page ed Elizabeth Hartman. Lo stile onirico e barocco, pieno di ricercatezze formali mai fini a sé stesse (l’incipit e il finale girati in un simbolico bianco e nero), asseconda questo scavo nell'inconscio che spesso assume tinte espressioniste, da incubo horror, come nella scena dell’amputazione della gamba.

a cura di Jackskellington
Recensione pubblicata su: DeBaser

Pensiero del giorno - Frank Graegorius 19/09/2014

L'amore esige la fedeltà esclusiva; l'affetto no. Si può voler bene a cento persone. Si ama una sola. (Frank Graegorius)

    

Pensiero del giorno - David Cronenberg 08/09/2014

I censori tendono a fare quello che soltanto gli psicotici fanno: confondono l'illusione con la realtà. (David Cronenberg)
 
   


Archivio GHoST (libri) - Le soubrette della televisione italiana

Le soubrette della televisione italiana (saggio con fotografie)
  • Titolo: Le soubrette della televisione italiana
  • Autore: Roberto Frini
  • Editore: Club GHoST
  • Leggi la recensione da qui: (attualmente non disponibile)
  • Visiona la versione web da qui: VAI...
  • Acquista la versione cartacea da qui: (in uscita)
  • Scarica la versione elettronica da qui: VAI...
 
NOTA:
per l'accesso alla versione web contattare la nostra redazione.
la versione elettronica è riservata esclusivamente ai collaboratori ufficiali del sito.

Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: L00002


    

Pensiero del giorno - Steve Jobs 03/09/2014

A tutti i folli, i solitari, i ribelli, quelli che non si adattano, quelli che non ci stanno, quelli che sembrano sempre fuori luogo, quelli che vedono le cose in modo differente, quelli che non si adattano alle regole, e non hanno rispetto per lo status quo.
Potete essere d'accordo con loro o non essere d'accordo, li potete glorificare o diffamare.
L'unica cosa che non potete fare è ignorarli, perché cambiano le cose, spingono la razza umana in avanti, e, mentre qualcuno li considera dei folli, noi li consideriamo dei geni, perché, le persone che sono abbastanza folli di pensare di poter cambiare il mondo, sono coloro che lo cambiano davvero.

(Steve Jobs)

   

Imminente: Le soubrette della televisione italiana


Le soubrette della televisione italiana, a cura di Roberto Frini.
Per informazioni e/o prenotazioni copie, contattare la nostra redazione.
  

Scomparso Robin Williams

E' morto suicida l'attore statunitense Robin Williamsm, aveva 63 anni. Il suo corpo è stato trovato con una cintura stretta intorno al collo nella sua casa di Tiburon, in California, nella baia di San Francisco. Da tempo soffriva di depressione e alcolismo, malattie accentuate da difficoltà economiche e delusioni professionali.
Tra le sue interpretazioni vanno ricordate quelle di Braccio di Ferro in Popeye di Robert Altman (1980), di Adrian Cronauer in Good Morning, Vietnam (1987); è stato inoltre il professor John Keating ne L'attimo fuggente di Peter Weir (1989), Peter Pan in Hook - Capitan Uncino di Steven Spielberg (1991), il papà travestito da tata in Mrs. Doubtfire di Chris Columbus (1993) e uno dei protagonisti in Insomnia (2002) di Christopher Nolan.

Nymphomaniac vol. I - II di Lars von Trier

Mentre sta rientrando a casa, il vecchio Seligman (Stellan Skarsgård) si imbatte nel corpo di una donna (Charlotte Gainsbourg) accasciata per terra in un vicolo. I suoi vestiti sono sporchi e il viso presenta alcune ferite. Il vecchio decide quindi di portarla in casa sua per darle i primi soccorsi. Al suo risveglio, Joe (così si chiama la donna) decide di spiegare all’uomo come ha fatto a ritrovarsi in quel luogo e in quello stato. Inizia così a raccontare la storia della sua vita, dall’infanzia fino a quel momento. Un racconto diviso in otto capitoli, ognuno con un titolo diverso, ma tutti con lo stesso comune denominatore legato all’importanza cruciale del sesso nella vita di Joe. La donna, infatti, si autodefinisce ninfomane, una condizione che in un modo o nell’altro ha segnato con avvilente puntualità i picchi e le cadute nella sua esistenza.
 
Presentato in due parti, proiettate al cinema a qualche giorno di distanza l’una dall’altra, Nymphomaniac chiude la trilogia della depressione, comprendente anche Antichrist (2009) e Melancholia (2011). Lars von Trier torna alla tanto cara narrazione in capitoli, mettendo in scena forse uno dei suoi lavori più intensi e complessi di tutta la sua filmografia recente.
Di Nymphomaniac si è parlato moltissimo, troppo, soprattutto prima dell’uscita ufficiale. Al centro di tutto c’è stata l’occasione ghiottissima di sollevare un polverone mediatico, grazie a un titolo, a una locandina e a un trailer (anzi due: uno soft e uno hard, tanto per stuzzicare ancora di più l’immaginazione, creando altre  aspettative) che non lasciavano granché all’interpretazione.
Ma poi è arrivato il film.
Inutile dire che il sesso è al centro di tutto. D’altronde si sta parlando della vita di una ninfomane e delle sue esperienze, dall’infanzia fino all’età di cinquant’anni. Nonostante tutto, però, Von Trier riesce a menare lo spettatore per il naso, trascinandolo nei meandri di quello che in realtà è un film altro. Perché di sesso ce n’è tanto, ma non è lì che va cercato il fulcro dell’intero lavoro. Il sesso in Nymphomaniac è un mezzo, uno strumento attraverso cui il regista mette in scena una realtà parallela. Troppo facile? Forse, ma non credo che sia stata una conclusione tanto comune tra coloro i quali hanno assistito a questo glaciale spettacolo della carne. Se paragonassimo questo film a un viaggio in macchina il sesso non sarebbe l’autista, ma l’automobile.
   
   
Quindi è inutile perdere tempo e energie a farsi sconvolgere dalle scene esplicite (o a fare i puristi, condannando la solita, bigotta censura che costringe a il mercato a distribuire una versione ridotta del film – sono tra quelli, lo ammetto). Non c’entra nulla. Sarebbe come dare la colpa all’automobile per la scelta sbagliata della meta. Il sesso è il tramite, uno splendido e a tratti catartico tramite attraverso cui Von Trier riflette sulla società, l’arte e la condizione umana contemporanea. Una riflessione che parte da lontano, da quell’inconsistenza insopportabile che pervadeva l’atmosfera in Melancholia e che finalmente sembra aver trovato una dimensione, una forma definita in quest’ultimo lavoro, nascosta tra le pieghe di quella che a tanti sarà sembrata un’ evitabilissima fiera di genitali e bocche in movimento.
   

Cos’è dunque Nymphomaniac? Un film sul sesso? Sì. Un film erotico? Assolutamente no. Nymphomaniac è l’antierotismo per eccellenza. Non aggiunge sensazioni, non mette carne al fuoco. Nymphomaniac non mette in scena un crescendo emotivo che trova il suo bollente culmine nell’esplosione dell’amplesso.
Nymphomaniac è soprattutto un film di sottrazioni, di privazioni. È la storia di una fiamma che si spegne, senza speranza e senza un perché. Il sesso è un animale vivo, è qualcosa che aspira, che mangia che si nutre delle vite dei protagonisti e non lascia nulla dietro di sé.  È una storia di sottrazioni perpetuata attraverso i ripetuti atti sessuali che svuotano i protagonisti di ogni loro bene spirituale e materiale: il sesso priva Joe di una vita normale e ben presto le ruberà anche il piacere derivante dalla copula, ovvero l’unica ragione di quella sua vita “anormale” fatta di schiavitù carnale (il volume 1 termina con lei che in lacrime sussurra spaventata: “Non sento niente”). Il sesso priva Jerome della sua dignità, costringendolo ad ammettere di non poter soddisfare da solo Joe; e priva il vecchio Seligman della sua integrità, della sua figura eterea, del suo ruolo di contatto tra un mondo infernale e un altro talmente asettico da sembrare asfittico - ovvero la sua dimensione di uomo a-sessuale che lo obbliga a trovare immagini sempre nuove e sempre molto “normali” da poter associare ai racconti allucinanti di Joe e farli così diventare i titoli dei capitoli.
   
   
Il sesso diventa quindi il togliere, l’estirpare, il soffocare. Svuotamento, ma anche paura dello svuotamento, la stessa paura che prova il passeggero del treno a cui una giovane Joe pratica una fellatio, un rapporto orale che significa privarlo del seme che deve essere preservato per la fecondazione dell’ovulo di sua moglie -  un bambino che salvi il matrimonio, che tenga a freno la paura di perdere tutto in una traduzione perfetta del non-amore. Ogni capitolo è legato a un oggetto, a un concetto, a un’immagine, a un’idea che in un modo o nell’altro si mostra come un divertente ossimoro rispetto alla situazione che va a descrivere poco dopo, facendo tenere al film un curioso andamento sinusoidale. I nomi dei capitoli rappresentano l’esigenza da parte di Seligman di dare una forma a quello che Joe racconta, un’esigenza che nasce perché ciò che racconta la donna diventa ai suoi occhi inconsistente, incomprensibile, non incasellabile per un uomo come lui che non ha mai provato alcun desiderio sessuale. Seligman ascolta la storia di una donna che, sottrazione dopo sottrazione, perde la verginità, la madre, il padre, il marito, il figlio, l’amante e infine il suo posto nel mondo. Lui si ritrova ad essere l’unica cosa che le rimane, il suo unico amico. Eppure il sesso torna per mietere un’altra vittima e continua la sua opera di privazione, sottraendo stavolta al pubblico l’unico personaggio “normale” all’interno di quel turbine di sensazioni estreme.
   
   
L’ultimo della lista è proprio Seligman, l’unico che all’interno del film, incarnando una vera e propria accumulazione di nozioni enciclopediche, rappresentava un triste eppure anche rassicurante tutto che in qualche modo teneva testa allo svuotamento di ogni cosa da parte del sesso, contrapponendosi alla sua furia devastatrice. Un tutto che però risulta vuoto, inanimato, senza forza. Un accumulo senza significato che lo spinge a stravolgere la sua esistenza, tentando di costringere Joe a fare sesso con lui nel macabro e grottesco finale (vero punto debole della pellicola) e diventando così suo malgrado il simbolo dell’ultima ed estrema sottrazione del film, ovvero la privazione della vita altrui attraverso l’omicidio, da parte di Joe, condannata a rimanere sola.
  

Von Trier firma un film bellissimo nella sua agghiacciante verosimiglianza, componendo una vera e propria sinfonia di valori al contrario (esemplare lo splendido Episodio 5: La scuola di Organo) che tende al minimo, all’essenzialità della questione. Il Dogma 95 applicato ai contenuti anziché al setting, forse per la prima volta nella sua carriera.

 
Voto: molto buono.
  
a cura di Giorgio Mazzola
  

Archivio GHoST (software) - Vlc 2.1.5

Vlc 2.1.5 (lettore media audio/video multi-piattaforma) 
  • Licenza: Opensource
  • Sistema operativo: Windows XP/Vista/7/8
  • Requisiti minimi: Pentium III - 512 MB di Ram
  • Dimensione file: 23,5 MB
  • Leggi la recensione da qui: (attualmente non disponibile)
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Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: P00002--


      

Scomparso H.R. Giger, il creatore di Alien

E' morto ieri pomeriggio in ospedale a Zurigo, HR Giger, l'artista svizzero creatore di Alien, a causa delle ferite riportate in seguito ad una brutta caduta.
Hans-Ruedi Giger aveva 74 anni, era conosciuto a livello internazionale per le sue rappresentazioni fantastiche, una fra tutte quella dell'essere extraterrestre "Alien" per l'omonimo film del regista Ridley Scott (1979) e per il quale gli fruttò un Oscar nel 1980.
Nato il 5 febbraio 1940 a Coira, si è appassionato fin da subito alle creazioni fantastiche e macabre, a temi come la nascita, la morte e la sessualità; la sua immaginazione lo ha portato a svolgere studi di architettura e disegno industriale a Zurigo. In seguito ha realizzato documentari e cortometraggi. Maestro dell'aerografia, dipingeva creature mutanti oscure fatte di carne e pezzi meccanici. Questa forma d'arte, da lui stesso chiamata "biomeccanica", affascina e inquieta il pubblico riscuotendo notevole successo. Ha realizzato disegni per film come Poltergeist 2 (1986), Alien 3 (1992) e Species (1995) così come per il videogioco Dark Speed (1995). Ha inolte disegnato arredamenti d'interni e creato sculture rappresentanti le sue creature. Nel design, Giger ha realizzato anche l'asta del microfono per il cantante del famoso gruppo rock Korn. Ha inoltre ottenuto il primo Premio Willy Reber, del valore di 30.000 franchi, consegnato nell'ambito di un'esposizione a lui dedicata al Museo d'arte di Coira.
Una parte delle sue opere è esposta al museo HR Giger, un istituto privato che ha aperto le sue porte nel 1998 nella cittadina medievale di Gruyères (FR). Il museo raccoglie 250 lavori, in prevalenza tele e sculture. (Fonte: Ats)
   

Pensiero del giorno - Albert Schweitzer 09/05/2014

L'esempio non è la cosa che influisce di più sugli altri: è l'unica cosa. (Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace)
 

 

Broken Trail - Un viaggio pericoloso di Walter Hill

A Walter Hill, leggendo lo script di Broken Trail, deve essere piaciuta l’idea di raccontare una storia per certi versi simile a quella di uno dei suoi film preferiti, Il fiume rosso, di Howard Hawks. Ricordiamo alcune sue considerazioni a tal proposito: “Il fiume rosso, un grande film. Ma per me non un tipico film di Hawks. Secondo l’impropria dizione hollywoodiana, è un’epopea, che non era uno stile nel quale lui si trovava a suo agio. Il fatto che per me sia un film eccellente è un omaggio autentico alle sue capacità tecniche e formali.” (Dal documentario: Howard Hawks, American Artist). Quanto siano condivisibili le parole del regista, non sta a noi dirlo e comunque non in questa sede (riflettiamo solo sul fatto che Hawks ha diretto cinque film western e due, Il fiume rosso e Il grande cielo, hanno una struttura piuttosto simile). Il punto è un altro. Nemmeno Broken Trail (che come progetto originale aveva un altro titolo: Daughters of Joy), inizialmente, deve essere sembrata a Hill un’operazione nella quale sentirsi a proprio agio. Certo, proponeva molti stilemi narrativi tipici dei suoi film: il viaggio, l’avventura, gli uomini duri e le situazioni pericolose, l’amicizia virile eccetera. Però prevedeva anche un buon numero di personaggi femminili, molti più del solito. Il che avrebbe significato più sentimenti, più parole (come recita un proverbio cinese citato nel film “una moglie cieca e un marito sordo sono un’ottima coppia”). Le donne possono creare dei problemi, come diceva uno dei Guerrieri, ed è tradizionalmente così nei film “virili”. Li possono creare anche a un regista, se deve dirigere un western, e se oltretutto questo western è una miniserie televisiva di tre ore. Difficile, avrà pensato Hill, concentrare l’attenzione su “ciò che accade”, realizzare un film compatto, teso, evitando psicologismi e discorsi “regressivi”. Gli sarà comunque sembrata una sfida, proprio come le sfide che pone generalmente ai suoi protagonisti.
  
  
Se riandiamo al discorso funebre che Print deve ripetere più di una volta durante la vicenda (“Siamo tutti di passaggio in questo mondo. Dalle dolci erbe nuove fino al mattatoio, dalla nascita fino alla morte, viaggiamo tra due eternità.”) vediamo che questo scandire il film con un riferimento a un viaggio metaforico (la vita) sembra quasi andare nella direzione sempre voluta da Walter Hill, cioè un concentrare l’attenzione sul presente, sul “qui e ora”, staccandolo dal passato e dal futuro. Che ovviamente non significa obliare la Storia con la s maiuscola o la propria storia personale (nel corso del film abbiamo dei riferimenti al passato, tramite il racconto dei personaggi stessi, e persino su ciò che accadrà) Tutt’altro. Come ha scritto Alberto Crespi, il cinema di Hill è “fondamentalmente una ricognizione/rievocazione del passato” (A. Crespi, La fiaba del rock, in Il cinema di Walter Hill). E il fatto che il protagonista di Broken Trail sia un anziano cowboy chiamato Print (come dire, un tipo “vecchio stampo”, uno che sostiene che la ricchezza non si misura col denaro), la dice lunga su quanto Hill tenga sempre presente la matrice, le radici, la memoria. Seguendo l’insegnamento di Montaigne (come Welles, due film del quale – Quarto Potere e L’orgoglio degli Amberson - furono i primi a lasciare il segno quand’era ragazzino) un giorno disse: “Preferisco i film che fanno ricordare alla gente cose dimenticate, piuttosto che quelli che tentano di scoprire qualcosa di nuovo” (dalle note di copertina del disco Streets on Fire, citate in A. Crespi eccetera). Ma naturalmente il plot di Broken Train non è incentrato solo sui personaggi di Print e di suo nipote Tom Harte (a proposito di memoria, il cognome è un chiaro omaggio a uno dei più importanti scrittori di racconti western, Francis Bret Harte).
   
   
Hill, per rendere meno stridente una vicenda che non riesce a risultare del tutto plausibile, cerca in maniera quasi sistematica, e sin troppo evidente, di portare una buona dose di quotidianità, ai limiti del prosaico (tutta la parte relativa all’uso della carta igienica, la cucitura del buco nella camicia, i risvegli assonnati, i fastidi di una vita all’aria aperta non sempre facile: “È una bella vita, quando non piove e non nevica”, dice ad un certo punto Print, eccetera), un realismo oseremmo dire minimalista e tutt’altro che mitico, nella retorica western. Per inserire qualcosa di nuovo, inedito, e vivificare il genere, nonché per tentare di evitare le trappole dell’artificio e di ogni riferimento metalinguistico. Sia chiaro, il western realista non nasce certo con Broken Trail, ma una certa attenzione ai dettagli che rendano il più possibile umani i personaggi ha sempre fatto parte del bagaglio espressivo del regista. In questo modo Hill probabilmente riesce a tirare fuori il meglio da una sceneggiatura e soprattutto da una produzione che in altre mani si sarebbero sciolte in un buonismo insopportabile; però non riesce a trovare l’equilibrio e non si decide tra il realizzare un tv-movie fiabesco e irreale e un vero western con robuste dosi di violenza. Probabilmente la soluzione migliore sarebbe stata quella di dare al film un taglio da commedia farsesca (viene in mente un titolo come Scusi, dov’è il West?, diretto nel 1979 da Robert Aldrich, nel quale il protagonista era un rabbino, quindi un personaggio “estraneo” all’iconografia western), che certo però non sarebbe stata nelle corde di Hill e che comunque, specie in una produzione televisiva, non avrebbe necessariamente sortito miglior risultato. Si ha l’impressione che vi sia poca amalgama tra la vicenda dei cowboy che devono portare una mandria e quella delle ragazze cinesi vendute come schiave e protette dai protagonisti. È dura credere che dei rudi cowboy avrebbero potuto realmente fare ciò che fanno Print e Tom, anche se lo sceneggiatore sostiene che la storia è un insieme di fatti realmente accaduti. E tornano in mente le parole di Max Evans, scrittore di romanzi western moderni, pronunciate a proposito del film di Richard Brooks I professionisti (anche in quel caso un gruppo di mercenari si prendeva a cuore le sorti di una giovane donna) e riportate da Sam Peckinpah: “Questo è puro Walt Disney!”. Anche se il copione giustifica in parte l’altruismo di Tom, all’inizio poco propenso a sobbarcarsi le ragazze, col fatto che dopo un certo periodo di tempo tra lui e la maggiore delle giovani nasce un sentimento d’amore. Quanto a Print, si può intuire in lui un trasporto quasi paterno nei confronti delle protette, fino a quando non si scopre che in effetti ha perso una figlia, ancora bambina, per un incidente a cavallo di cui è responsabile.
   
 
   
Inoltre, ad un certo punto, quando Print e Tom hanno deciso di lasciare le ragazze in un posto sicuro, due balordi cercano di violentarle. Escamotage studiato da Hill e il suo sceneggiatore proprio per “convincere” i personaggi che le ragazze non possono essere abbandonate. È pur vero che il concetto di altruismo, plausibile o meno, muove molti personaggi hilliani e, comunque, il protagonista onesto e leale è alla base di tanto cinema western; abbiamo appena citato I professionisti, ma che dire di Cavalcarono insieme di Ford e El Dorado di Hawks? Hill si è formato idealmente alla scuola di quei registi che cercavano di dare una connotazione morale ai loro film, e lo fa anche quando l’assunto della pellicola sembra essere di totale pessimismo nei confronti della natura umana (sentimento che Hill ha ammesso di provare spesso). In fin dei conti anche un “cattivo” come King James, nel microcosmo da giungla urbana di Trespass fa di tutto per salvare Lucky, che forse non è nemmeno suo fratello. Anche questo contribuisce a rendere il suo cinema distante, finanche antico e poco alla moda nel panorama contemporaneo. Seguendo le gesta di Prentice, soprattutto, vengono in mente le parole di Ford: “Amo l’aria aperta, i grandi spazi, le montagne, i deserti ... Il sesso, l’oscenità, la degenerazione sono cose che non mi interessano. Mi piace assaporare il profumo onesto dell’aria aperta.” Frasi che Hill magari potrebbe sottoscrivere, pur tenendo presente la distanza generazionale. Non a caso, Print e soci non approfittano sessualmente delle ragazze e, se è per questo, non s’intrattengono con nessuna donna, nemmeno a pagamento, cosa che farebbe inorridire Peckinpah e che può in effetti apparire poco realistica. Potrebbe essere una scelta dovuta alla destinazione televisiva, ma pensiamo che sia invece coerente con il motivo che può aver spinto Hill a realizzare Broken Trail. Riannodare i fili del suo genere preferito, anche a costo di sembrare anacronistico e di essere accusato di privilegiare, fordianamente, il mito alla storia, l’elegia alla dura realtà. Che ci sia riuscito solo in parte, è indubbio, ma che quel poco di buono (e anche il resto, se è per questo) che c’è in Broken Trail sia nato dal tentativo di recuperare malinconicamente, senza esibizionismi e senza “fotocopiare” cinema, un brandello d’insegnamento morale che nei casi migliori il western riusciva a dare, lo è altrettanto.     
  
a cura di Roberto Frini
   

Pensiero del giorno - Cit 05/05/2014

Tutto succede per un motivo. Se ti danno una seconda opportunità, afferrala con tutte e due le mani. Se la tua vita cambia, lascia che cambi. Nessuno ha detto che la vita fosse facile, ci hanno solo promesso che valeva la pena di viverla. (-Cit.)



Flash Gordon ritorna al cinema

Era il 1980 quando il produttore italiano Dino De Laurentiis incassò il clamoroso flop per Flash Gordon, la trasposizione cinematografica del celebre fumetto creato da Alex Raymond nel 1934. La produzione infatti all'epoca investì sul progetto con un budget di ben 35 milioni di dollari affidando la regia a Mike Hodges che diresse Sam J. Jones, Max Von Sydow, Ornella Muti e Mariangela Melato in un film che, oltre alla colonna sonora composta dai Queen, non ottenne i risultati sperati sia in termini di critica che di pubblico.
Ora, mentre il fumetto di Raymond compie 80 anni, la 20th Century Fox sembra pronta a festeggiare l'anniversario rilanciando il mitico personaggio sul grande schermo con un reboot che potrebbe essere diretto da George Nolfi che ha già preparato un primo script sul quale stanno rimettendo mano Patrick McKay e JD Payne, autori insieme a Roberto Orci del prossimo Star Trek. (Fonte: Adnkronos)

Parapsicologia, folklore ed ufologia con la Golem Libri

La redazione GHoST segnala la nascita della Golem Libri una nuova casa editrice specializzata in parapsicologia, folklore ed ufologia. I primi titoli pubblicati sono Fantasmi. Storie vere di Hereward Carrington, La casa infestata. Il Grande Mistero di Amherst di Walter Hubbell e Psicocinesi - La Mente domina la Materia di Louisa Rhine.
Per maggiori informazioni potete trovare tutti i dettagli sul sito dell'azienda www.golemlibri.it.
Di seguito la presentazione della casa editrice:
Golem Libri nasce dall'esigenza di colmare una lacuna sempre più evidente nel panorama editoriale italiano che, di fronte alla crescente richiesta di testi inerenti i temi più enigmatici e conturbanti della scienza e della cultura umana, ha finora risposto in maniera discontinua e seguendo logiche non sempre improntate a criteri di qualità.
In un settore tanto precario e controverso, in cui il rischio, quando si favoriscono logiche puramente commerciali e si inseguono (o si alimentano) le mode del momento, è sempre quello di compromettere la possibilità di un giudizio consapevole e fondato, abbiamo sentito la necessità di dar vita ad un progetto che ambisse a porsi come punto di riferimento per chiunque intenda approfondire quei temi attraverso la lettura di opere fondamentali, la cui conoscenza diretta è stata finora limitata dalla loro scarsa accessibilità.
Con le nostre pubblicazioni ci proponiamo di offrire ai lettori italiani il meglio della letteratura internazionale, tanto divulgativa che specialistica, su quelli che potremmo chiamare i “misteri della terra”, “del cielo” e “dello spirito”.
Esistono infatti testi essenziali che non sono mai stati tradotti in italiano (o che non sono più stati ristampati) e che dovrebbero invece essere presenti nelle biblioteche di tutti coloro che nutrono un reale e serio interesse a conoscere. La nostra speranza è quella di poterli rendere finalmente disponibili, convinti come siamo che, per poter progredire davvero, il sapere non possa prescindere dall'esplorazione di tutti i meandri dell’esperienza umana, anche di quelli più bui e tortuosi.

I corti di Andrea Ricca

Andrea Ricca, salernitano, diplomato al Liceo Artistico e laureato in Sociologia, ha diretto diversi interessanti cortometraggi perlopiù di genere s.f. con effetti speciali in computer grafica che, seppur realizzati a basso budget, hanno ottenuto recensioni internazionali superando le centomila visioni complessive online.
I video sono visibili direttamente online, con la rassegna stampa e le informazioni sull'autore, sul sito: www.andrearicca.it
Di seguito le info su alcuni lavori da lui diretti e prodotti:

The Furfangs è un cortometraggio di fantascienza, con effetti speciali in grafica 3D, che racconta la storia di "piccole creature, misteriose ed aggressive, venute dallo spazio", ed è ispirato ai film degli anni ’80 come Gremlins, Critters, Ghoulies ecc.
Il corto è stato realizzato a budget zero, senza contributi esterni, né retribuzione ai partecipanti, con il solo ausilio di una telecamera MiniDV e di un computer.
The Furfangs ha superato le 67.000 visioni online, ottenendo recensioni internazionali ed ha partecipato in concorso al Napoli Film Festival 2011.
Le musiche originali sono di Gianfilippo De Mattia.

The Guardian è un corto di genere adventure-fantasy, con effetti speciali in grafica 3D, girato a budget zero, che racconta la storia di una archeologo che ritrova una preziosa urna, ma questa è difesa da un antico guardiano scheletrico, ed è ispirato allo spielberghiano Indiana Jones ed alle creature in stop-motion dello storico animatore Ray Harryhausen.
La lavorazione ha coinvolto Andrea Ricca alla regia, Michele Di Mauro come protagonista ed Antonella D’Andria come assistente alla regia.

Spider Danger è un cortometraggio indipendente, girato a budget zero, di genere sci-fi-horror, con effetti speciali in computer grafica, che racconta la storia di un ragno che misteriosamente assume delle dimensioni abnormi, ed è ispirato ai classici della fantascienza anni ’50 come Tarantola di Jack Arnold.
Il corto è stato realizzato da una sola persona: il regista Andrea Ricca che ha curato il soggetto, la sceneggiatura, la regia, le riprese, il montaggio, gli effetti speciali in grafica 3D e la post-produzione.
Le musiche originali sono state composte da Antonio De Luise.

Ufo Race è un cortometraggio di fantascienza, con effetti speciali in grafica 3D, che racconta la folle gara
notturna tra un’automobile ed un’astronave aliena.
Il corto è stato realizzato a budget zero, senza contributi esterni né retribuzione ai partecipanti, con il solo ausilio di una telecamera MiniDV e di un computer.
Il video è stato realizzato con l'assistenza di Antonella D'Andria.

The Spooky Ghost è un cortometraggio indipendente di genere fantastico, con effetti speciali in grafica 3D, girato a budget zero, senza contributi esterni né retribuzione ai partecipanti, con il solo ausilio di una videocamera hd e di un computer.
Il cortometraggio racconta la storia di una ragazza che entra in una casa abitata da un fantasma burlone, ed è ispirato ai cartoons Disney degli anni ’30 come The lonesome ghosts.
La produzione ha richiesto un anno di lavoro.
Soggetto, sceneggiatura, regia, montaggio ed effetti speciali sono stati realizzati da Andrea Ricca.
La protagonista è Francesca Simonelli e le musiche di Claudio Romano.

Attualmente Andrea Ricca sta lavorando al suo prossimo video Aliens Night  cortometraggio di fantascienza, incentrato sul tema dei rapimenti alieni.