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La terza madre di Dario Argento

Nei pressi del cimitero di Viterbo viene dissotterrata un’antica urna incatenata ad una bara, contenente una tunica e oggetti preziosi appartenuti alla Mater Lacrimarium, la Terza Madre (dopo la Suspiriorum e la Tenebrarum). La scoperta di questa bara risveglia la malvagia strega e la violenza estrema comincia a diffondersi in tutta la città di Roma, contagiando tutti i suoi abitanti in un totale  delirio omicida. Sarah Mandy (Asia Argento), compagna e assistente di Michael Pierce (il curatore del Museo d’Arte Antica di Roma) è braccata dalla terza Madre e quindi, con l’aiuto del fantasma di sua madre Elisa (una strega bianca uccisa dalla Mater Suspiriorum a Friburgo), dello studioso di esoterismo De Witt e del commissario Marchi  dovrà affrontarla a viso aperto.
Presente al 60mo Festival di Cannes, finalmente l’ultimo capitolo della trilogia delle madri ha visto la luce, dopo una fase embrionale durata più di vent’anni. “Il più duro dei tre”, secondo il parere dello stesso Argento, che finalmente ritrova tutta la famiglia riunita all’opera.
Giunto a questo punto mi rendo conto che non ho nulla di positivo da dire, ma proprio nulla. Con Suspiria (e ancor più con Inferno) ho assistito ad una inesorabile discesa di qualità del frutto del “genio” di Dario Argento, ma  nulla riesce a raggiungere il grado di bassezza di quest’ultima fatica, tanto attesa e celebrata. Non c’è nulla che vada, neanche un frame, niente che possa farmi pensare che quello a cui ho assistito sia un film degno di essere preso in considerazione.
Una trama masticata e sputata ormai all’inverosimile che perde di ogni sostanza di fronte all’evidente stanchezza che la permea assieme a tutta la sua imbarazzante mediocrità. Una sceneggiatura talmente povera e ridicola che sembra essere stata partorita dagli studenti di un corso di cinema delle scuole medie (Sarah figlia di strega, proprio come Harry Potter…). Personaggi ai limiti delle macchiette, che godono del loro essere banali stereotipi (la scettica che non crede alla stregoneria ma che è figlia di una strega, l’esorcista, quello che ci crede “perché non c’è solo quello che vediamo”, il figlioletto che vuole la cioccolata a letto e che viene inesorabilmente rapito…). Situazioni ai limiti della comicità spiccia, come le apparizioni della strega bianca, madre di Sarah, che vedono una Daria Nicolodi fare da guida alla figlia (“sottilissimo” gioco di metateatro) esibendosi in esilaranti emanazioni di luce propria alla Obi-Wan Kenobi. La sabba di streghe sempre più simil- bordello e con due o tre comparse a riempire gli spazi bui. “Topoi Argentei” che ormai hanno del ridicolo (la ricerca di dati nelle biblioteche in cui c’è tutto, ma proprio tutto, con tanto di voce narrante “stupendamente” esibita dalla bella Asia; la leggenda trita e ritrita delle tre madri; e poi “L’insuperabile” inserto a fumetti che fa da supporto visivo, talmente banale, superfluo ed esplicito che sembra preso dai polizieschi della Settimana Enigmistica). E poi le immancabili scene splatter (sempre gratuite e brutali) senza le quali non ci sarebbe neanche un piccolo motivo per continuare la visione del film (dato che quello è un “marchio stilistico” del buon Dario). Non riesco a passar sopra neanche alla fotografia, limpida, lucida, solare, come neanche la migliore delle fiction nostrane ha saputo esaltare: ecco che allora la famosa scena della madre che uccide il suo bambino gettandolo dal Ponte Milvio è, graficamente, “quasi bella” come le pubblicità della Barilla di vent’anni fa...
E poi la continua, persistente, fastidiosa e totale assenza di suspance, uccisa ogni minuto dal trionfo dell’esplicito, dell’illustrato e del detto, con le situazioni che devono per forza essere spiegate in ogni minimo dettaglio da voci narranti che sortiscono un effetto quasi urticante nella loro imbarazzante mediocrità. Durante la visione si ha proprio voglia di chiamare uno dei preti esorcisti/supereroi di cui il film è farcito per far uscire da Dario il fantasma malefico che l’ha rimbambito a tal punto.
Preferisco non accanirmi sulle musiche (banali, ovvie, scontate, ammazza-atmosfera, di contorno…) perché altrimenti più che una recensione questa inizia a sembrare un tiro al bersaglio…
Rimango deluso e, fatemelo dire, incazzato, persino guardando il finale, quando Sarah e il commissario Marchi riemergono dalle profondità della terra vincitori sul male, con la tetra, stupida e totalmente superflua risata della Argento che fa il verso ai finali “memorabili” di certi pretenziosi b-movie americani con velleità da Oscar (vedi Speed, Jan De Bont,  1994). 
      
Giudizio: molto scarso.