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Kenneth di Stefano Simone

Kenneth è un ragazzo di periferia, con seri problemi a rapportarsi con l’altro sesso; senza un lavoro fisso, senza veri amici e vessato ogni giorno dalle estorsioni di un energumeno senza scrupoli. Una vita triste, passata a subire tutto e tutti, senza la possibilità (e forse senza la volontà) di poter dire la propria facendosi rispettare. Ma in una calda giornata estiva, complice forse la calura e lo stress accumulato, il giovane esplode riversando la sua furia omicida scagliandosi contro i principali responsabili della sua frustrazione.

Tratto da un racconto breve di Gil Brewer e presentato al Festival di Foggia del 2008, Kenneth, per la regia di Stefano Simone, è senza dubbio un lavoro che merita una certa considerazione soprattutto se si tiene conto del budget ridotto allo zero e della velocità di realizzazione (un mese tra riprese e montaggio). Il vincolo imposto dal festival di ambientare la vicenda a Manfredonia si è rivelato essere (a mio parere) la carta vincente di questo progetto: le immagini della Puglia arsa dal sole (resa ancora più desolante e arida dalla fotografia, “sporcata” da un filtro rossiccio che contribuisce anche alla perdita di definizione dei contorni delle figure) sembrano essere l’ideale setting per una vicenda come questa, in cui la mente del giovane protagonista sembra perdere lentamente la capacità di razionalizzare la realtà che lo circonda, arrivando a  incolpare del proprio fallimento anche quelli che in realtà non c’entrano nulla. Un incipit azzeccato, sottolineato dalle puntuali e mai banali musiche di Niko Rubini e dai titoli di testa color rosso che spiccano sullo sfondo giallognolo del paesaggio estivo pugliese, facendo tornare alla memoria gli spaghetti western e il cinema “grezzo” anni ’70 al quale il regista voleva rendere omaggio.
 
Nonostante la recitazione mediocre degli interpreti (ma mai fastidiosa) vorrei sottolineare la buona prova attoriale del protagonista, interpretato da Luigi Di Giorgio, capace di esprimere con essenziali gesti e sguardi il disagio di Kenneth, in bilico tra tristezza, rabbia e frustrazione.
L’unica pecca è forse la scarsa suspance durante le scene degli omicidi, osservati (a mio parere) in maniera troppo distaccata e neutra, con la conseguente mancata definizione di una linea di lettura chiara (cosa si deve esaltare? Il lato splatter o quello psicanalitico?).
Un lavoro complessivamente buono eseguito in maniera intelligente e mai banale.

Giudizio: Molto buono.

a cura di Giorgio Mazzola